Ho conosciuto un collega. Adulto, molto più grande di me, un insegnante di musica alle medie con un passato da strumentista in orchestre note. Per una situazione scolastica sulla quale non mi dilungherò, avrebbe dovuto sviluppare una lezione in classe sulla musica etnica africana. Il lavoro avrebbe dovuto comprendere una parte pratica e collegamenti didattici multidisciplinari. Per lo stesso motivo anch’io avevo lo stesso impegno, ma su un argomento diverso, un po’ meno accattivante rispetto al suo. Infatti, appena sentito il suo tema, la mia testa ha iniziato a viaggiare su come avrei potuto impostare il lavoro: il genere musicale africano e le differenze fra le zone d’Africa, l’ambiente sociale in cui si sviluppa, le motivazioni e le finalità di impiego (religiose? di intrattenimento?), gli strumenti musicali utilizzati, l’impiego della voce nei canti, le influenze ricevute e prestate ad altri generi e l’importazione e l’esportazione di tale genere (dallo spiritual al rap africano moderno). I collegamenti interdisciplinari poi sono infiniti: con storia (il colonialismo, le deportazioni e l’Apartheid, ecc); con geografia (gli stati, lo sviluppo economico, le migrazioni, ecc); con italiano (Moravia – “A quale tribù appartieni?”); con arte (l’arte africana, Picasso, Matisse); con inglese (M.L.King); con francese (le colonie francesi); con tecnologie (il petrolio, il cotone), ecc. Un mare magnum di idee, avevo la testa che fumava.
Invece, al caro buon collega una sola cosa interessava. Lui voleva dare un segno forte di disappunto alla commissione giudicatrice: con una bella maglietta verde accesa e la borsa degli strumenti dello stesso colore avrebbe manifestato fieramente tutta la sua contrarietà all’”invasione”.
Ne sono rimasta molto colpita e ci sto pensando da giorni.
“L’insegnante è la persona alla quale un genitore affida la cosa più preziosa che possiede suo figlio: il cervello. Glielo affida perché lo trasformi in un oggetto pensante. Ma l’insegnante è anche la persona alla quale lo Stato affida la sua cosa più preziosa: la collettività dei cervelli, perché diventino il paese di domani” (Piero Angela)
Cervello, oggetto pensante, collettività di cervelli, paese di domani.
Insegnare è aiutare ad avvicinare la novità con curiosità e non con timore, è spiegare come guardare le cose da angolazioni diverse, è guidare nello sviluppare un interesse e poi perseguirlo, perché ci dia soddisfazione, sostentamento, uno scopo. Insegnare è insinuare il dubbio per cercarne i chiarimenti, è stimolare lo stupore nell’inventare e nel costruire. Insegnare è creare tutte le altre professioni.
Ognuno è libero di fare e pensare come meglio crede, ma se sei un insegnante e un educatore, questo cambia tutto!
Hai la responsabilità di persone inesperte da formare, hai l’occasione di guidarle alle novità e allo stesso tempo hai pure tu, docente, la possibilità di imparare e di tenerti aggiornato.
La nostra società, volenti o nolenti, è sempre più multietnica e se proprio temi un’invasione, sii lo strumento più efficace per educare i figli dei nuovi arrivati, perché capiscano come integrarsi e perché i bambini italiani li possano inglobare senza traumi. Sii colui che dimostra che ci deve essere rispetto fra uomo e donna, che un uomo non è mai superiore ad un altro, che esistono le sfumature e non gli estremismi, che il tempo è importante, come lo è l’essere grati e riconoscenti.
Un insegnante è l’unica chiave di volta e la cultura la soluzione.
Ma “la cultura non fa le persone. Sono le persone che fanno la cultura”. (Chimamanda Ngozi Adichie).
Malala Yousafzai, l’attivista pakistana, afferma che “un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo.”
Abbiamo una grande opportunità: sprecarla è da incoscienti.
“Se… riesci a mantenere la calma
quando tutti in attorno a te la stanno perdendo;
se sai avere fiducia in te stesso,
quando tutti dubitano di te
tenendo però nel giusto conto i loro dubbi;
se sai aspettare senza stancarti di aspettare
o essendo calunniato non rispondi con calunnie
o essendo odiato non dare spazio all’odio
senza tuttavia sembrare troppo buono
ne’ parlare troppo saggio;
se sai sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni;
se riesci a pensare senza fare dei pensieri il tuo fine;
se sai incontrati con il successo e la sconfitta
e trattare questi due impostori proprio allo stesso modo;
se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto
distorta da imbroglioni
che ne fanno una trappola per ingenui;
o guardare le cose
per le quali hai dato la vita, distrutte
e umiliarti a ricostruirle con i tuoi strumenti ormai logori;
se sai fare un’unica pila delle tue vittorie
e rischiarla in un solo colpo a testa e croce
e perdere, e ricominciare di nuovo dall’inizio
senza mai lasciarti sfuggire una parola
su quello che hai perso;
se sai costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi polsi
a sorreggerti anche dopo molto tempo che non te li senti più
e così resistere quando in te non c’è più nulla
tranne la volontà che dice loro: ”resistete”;
se sai parlare con i disonesti senza perdere la tua onestà
o passeggiare con i re senza perdere il comportamento normale;
se non possono ferirti ne’ i nemici
ne’ gli amici troppo premurosi;
se per te contano tutti gli uomini, ma nessuno troppo;
se riesci a riempire l’inesorabile minuto
dando valore ad ogni istante che passa,
tua è la Terra e tutto ciò che vi è in essa
e quel più che conta
tu sarai un UOMO, figlio mio!” (Rudyard Kipling)
E saprai essere anche un Insegnante.
(di Roberta Frameglia, 24 luglio 2018)
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