Ho sempre amato la menta. Tutto quello che odorava di balsamico mi è sempre piaciuto. E’ rassicurante, come quando mia mamma mi diceva “magna ‘na menta e te passa tuto”, riferendosi alla nausea, alla fame, alla sete, al singhiozzo, alla stanchezza, a tutto: per mia mamma la menta poteva essere il rimedio per tutto. E in parte credo fosse vero, dal momento che a partire da lei, sia mia nonna fino a mia suocera potevano non avere soldi nella borsetta, ma di sicuro avevano almeno 5 caramelle alla menta di quelle lunghe e verdi, dai nomi inquietanti (“gelo menta”, “ghiaccio menta”, “menta fredda”), che ti durano in bocca per giorni e puoi solo far cenni con la testa, perché parlare è impossibile.
Anche nella mia di borsetta una scatoletta di mentine (ine) c’è sempre, ma quello che amo di più della menta è quando si sposa col latte: un bicchiere di latte con un dito e mezzo di sciroppo di menta e una foglia di menta fresca dentro da masticare alla fine ed è subito estate! E’rinfrescante, dissetante e rilassante. Un bicchiere di latte e menta è rilassante! Non è allegro come un mojito, trendy e giovane, da locale sui Navigli o sul lungomare abbronzati.
Un bicchiere di latte e menta è da balcone, mentre tieni sulle gambe un libro e attorno c’è silenzio perché i vicini sono già in vacanza, i gatti dormono e le cicale sono lontane; è da tavolo in cucina, con le finestre aperte mentre lavori al computer con della musica da camera di Villa Lobos; è da giardino dopo che sei tornato dalla spiaggia, quando percepisci come avvolgente la tua pelle dopo il sole e la doccia.
In realtà tutto quello che sa di menta mi piace: dagli infusi ai the, caldi in inverno e ghiacciati d’estate, dalle creme balsamiche per le contratture o per i raffreddori.
La prima volta invece che ho gustato veramente la menta in cucina è stato al primo pranzo dai miei suoceri, sardi, con la zuppa gallurese. Nella nostra tradizione culinaria veneta la menta si usa molto meno che in quella sarda e avere di fronte un primo piatto fatto di pane, formaggio e menta era una novità assoluta.
La zuppa gallurese, definito piatto dei poveri, ma presente oggi anche nei migliori ristoranti sardi, è un piatto che rappresenta benissimo il carattere dei sardi: c’è il pane, la peretta di formaggio, il brodo di carne e la menta, tutti ingredienti sinceri, senza fronzoli, veri, “sudati”, come sono i sardi.
La teglia intera era portata a tavola con solennità veloce (perché arrivava direttamente dal forno ancora bollente) e lì si facevano le parti: enorme per mio suocero e per mio marito, discreta per mia suocera, e minima per me, per discrezione (tanto sapevano che facevo sempre il bis), mentre una teglietta rimaneva nel forno spento, pronta per darcela da portare a casa.
Non ricordo festa, pranzo o cena invernale o estiva in Sardegna in cui non ci fosse la zuppa, compresi gli immancabili paragoni fra le cuoche (tutte parenti e tutte cuoche eccezionali), che si schermivano l’un l’altra (eh, io non la faccio così buona – ma come, tu la fai più buona di tutte perché usi il pecorino di zio – invece a te viene meglio perché usi il brodo di pecora…), mentre tutte erano d’accordo che quella al ristorante “non è di casa”.
“La menta implica freschezza, fiducia e valori tradizionali”, dicono e io ne sono assolutamente convinta.
(di Roberta Frameglia, 28 luglio 2017)
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